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Dott. Francesco Scaccia
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La Sindrome di Stoccolma
Stoccolma
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La Sindrome di Stoccolma indica una particolare risposta psicologica che si crea in persone vittime di sequestro, violenza o abuso.

In alcuni casi, infatti, le persone imprigionate o abusate possono sviluppare sentimenti di affetto verso i propri carcerieri o maltrattatori.

Il termine fu coniato dallo psichiatra e criminologo svedese Nils Bejerot che studiò i fatti avvenuti nella città di Stoccolma il 23 agosto 1973.

Un uomo, evaso dal carcere delle capitale della Svezia, rapinò una banca e sequestrò alcune persone presenti.

I prigionieri furono liberati dopo sei giorni quando l’uomo si arrese spontaneamente.

Durante i colloqui con la polizia e gli psicologi, emerse che i sequestrati durante la prigionia avevano sviluppato affetto nei confronti di chi li aveva sequestrati e costretti a vivere in condizioni spaventose.

Il caso più noto degli ultimi anni è quello di Natascha Kampusch che fu costretta a vivere segregata dal suo rapitore per ben otto anni.
La ragazza più volte ha dichiarato che, nonostante varie possibilità di fuggire, preferì rimanere con il suo aguzzino.

La Sindrome di Stoccolma non è un vero e proprio disturbo.

La sindrome rappresenta un insieme di specifici processi psicologici che si attivano in alcuni soggetti sottoposti a eventi particolarmente traumatici, come un rapimento o una lunga serie di abusi fisici e mentali.

Perché si sviluppino si sviluppino questi meccanismi psichici è necessario che:

  • la persona percepiscano costantemente un’imminente minaccia alla propria vita da parte dell’aggressore e senta impotente e di non poter fare nulla per migliorare la propria condizione,

  • il sequestratore alterni ripetutamente comportamenti minacciosi a gesti gentili e affettuosi.

La persona costretta a convivere con una persona violenta inizierebbe a provare affetto e, in alcuni casi, vero e proprio amore per il proprio aguzzino perché questo gli permette di sopravvivere all’esperienza traumatica, ad esempio, non facendo arrabbiare il proprio aguzzino, con la speranza di evitare ulteriori maltrattamenti.

Da sottolineare che questo processo di sopravvivenza non è consapevole.

La persona non finge di amare il violento per evitare violenze ma crede realmente di amarlo.

La Sindrome di Stoccolma ha origine, infatti, da meccanismi inconsci che si attivano al fine di sopravvivere.

Processi simili alla Sindrome di Stoccolma sono stati individuati anche in alcune donne legate a uomini violenti e in alcuni bambini vittime di abusi.

Anche in questi casi, la consapevolezza che la propria vita dipende dall’aggressore può portare nelle vittime lo sviluppo inconscio di sentimenti positivi con la speranza di essere risparmiati.

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Bibliografia

  • Gulotta G., Vagaggini M. (1980). Dalla parte della vittima, Milano, Giuffrè.

  • Lalli Nicola (1997). Lo spazio della mente – Saggi di psicosomatica, Napoli, Liguori Editore.

  • Degortes D., et al. (2003). “Il sequestro di persona come evento traumatico: interviste cliniche ad un gruppo di vittime e revisione della letteratura”, Rivista di psichiatria, 38, 2.

  • Strenz T (1980): “The Stockholm Syndrome: law enforcement policy and ego defences of the hostage”, Annals of the New York Academy of Science, 347, 137-150. 24.

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